Il 9 ottobre le forze armate turche, approfittando del ritiro del contingente americano, hanno lanciato un attacco (aereo e via terra) in Rojava, regione a maggioranza curda nel nord della Siria, nazione a sua volta sconvolta da una guerra a tutto tondo.
Da tempo il presidente della Turchia, Erdogan, che nel suo paese si comporta come un vero dittatore, fremeva per questa soluzione. L’attacco ha già prodotto più di 500 morti, migliaia di feriti e qualche decina di migliaia di sfollati in fuga dall’area.
Ufficialmente l’attacco all’interno dei confini siriani è stato giustificato con la volontà di creare una “zona cuscinetto” ai confini tra Siria e Turchia, in cui sistemare i profughi della guerra siriana presenti in quest’ultimo paese… ma le vere motivazioni stanno altrove!
Anche la credenza che sia in corso uno scontro puramente etnico è sbagliata e non centra il punto della questione. Pur se esiste la volontà genocida di eliminare i curdi dalla regione, la paura maggiore della Turchia – che come altri Stati ha mira egemoniche e si gioca l’influenza politico-economica sull’area – è quella di veder sorgere ai suoi confini un avamposto di sperimentazione sociale qual è, oggi, il Rojava.
In Rojava, fin dall’inizio del conflitto in Siria, è infatti nato l’esperimento sociale e politico denominato “confederalismo democratico”, un sistema di autogoverno dal basso che, pur con tutti i limiti e le contraddizioni presenti in un contesto di guerra, ha rimesso in discussione gli Stati-nazione e sostenuto l’idea di un’economia solidale, riaffermando il principio di autodeterminazione delle comunità. Un vero e proprio esperimento rivoluzionario e libertario, ecologista e femminista, influenzato anche dal pensiero di Abdullah Ocalan che, dopo la lettura e lo studio del pensatore libertario ed ecologista Murray Bookchin, ha abbandonato l’idea di creare uno stato curdo per abbracciare invece l’idea di un federalismo dal basso, aperto alle più varie etnie, lingue, credenze religiose o atee. Proprio per queste caratteristiche, l’esperimento del Rojava ha richiamato persone e militanti da tutto il mondo, inclusa l’Italia, disposte a combattere per difenderlo dagli attacchi delle milizie dell’ISIS. Più di 11.000 donne e uomini delle forze popolari della Siria settentrionale e orientale hanno dato la vita per liberare questa regione dall’ISIS, come il toscano Lorenzo “Orso” Orsetti.
Un’invasione della regione da parte delle forze turche rianimerà l’ISIS, che potrà diventare ancora una volta una minaccia per tutto il Medio Oriente (ma anche per l’Europa) costringendo centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle loro case e diventare rifugiati.
Quando le partigiane e i partigiani del Rojava hanno respinto gli attacchi dei fondamentalisti dell’ISIS/DAESH sostenuti dalla Turchia, l’Occidente ha sfruttato la loro determinata resistenza, appoggiandola in maniera opportunistica e ricoprendola di elogi.
Ora che, grazie a quella resistenza, l’ISIS è stato ridimensionato gli Stati Uniti di Donald Trump lasciano via libera all’alleato turco, mentre l’Europa rimane vergognosamente assente: non solo la UE non è stata in grado di approvare un embargo comune sulla vendita di armi verso la Turchia, ma molti dei suoi Stati membri continuano ancora adesso a fornire al regime turco armi e soldi per fermare i flussi di profughi della guerra siriana verso l’Europa.
Il governo italiano, molto ipocritamente, il 14 ottobre scorso ha deciso lo stop all’export di armi verso Ankara, ma solo per i “contratti futuri”, quindi le forniture di armi per gli ordinativi già autorizzati nel passato continueranno (degli 890,6 milioni di euro di ordinativi ne devono ancora essere consegnati alla Turchia circa la metà); inoltre l’esercito italiano partecipa tuttora ad una missione NATO (“Active Fence”), nella base militare di “Gazi Kislaşi” in territorio turco, con un contingente di 130 soldati italiani, 25 mezzi terrestri e un sistema missilistico per difendere l’alleato turco (la Turchia è il secondo esercito della NATO!) da eventuali risposte armate provenienti dalla Siria, come confermato dal sito del ministero della Difesa.
Fa pertanto riflettere che in occasione delle giornate di mobilitazione internazionale in solidarietà al Rojava, abbiano avuto la faccia tosta di scendere in piazza personalità, esponenti e dirigenti di partiti che hanno sostenuto e sostengono anche oggi governi che continuano ad inviare armi alla Turchia e partecipano a missioni NATO in appoggio ad Ankara e che, a dirla tutta, nulla condividono degli ideali che animano l’esperimento rivoluzionario del Rojava!
Invitiamo perciò tutte e tutti a partecipare a questo presidio contro l’occupazione turca della Siria del Nord, in solidarietà con la popolazione curda, con le comunità del Rojava e con le popolazioni siriane stremate da anni di guerra! Ma invitiamo anche gli opportunisti politici e i finti solidali a starsene a casa!
Se una strada di pace è percorribile in medio oriente, questa passa anche per la difesa del Rojava e del “confederalismo democratico” che, pur con i limiti e i possibili miglioramenti, ha dimostrato che solo abbandonando i nazionalismi e gli identitarismi settari è possibile costruire comunità aperte e solidali. Difendere il Rojava significa abbracciare, dare risalto e solidarietà a chi continua a lottare per un’idea di società altra, di giustizia sociale, di libertà… in un mondo che invece pare convertirsi in una sua parte abbastanza ampia ad ideali esattamente contrari, di perseguimento del profitto economico e di chiusura e repressione nei confronti delle diversità.
L’esperienza del Rojava parla a tutto il mondo!